L'infanzia 
        Nacque nel
        
        1835 a Valdicastello (Lucca) 
        da Michele e Ildegonda Celli, ma nel
        
        1839 la famiglia si trasferì a
        
        Bolgheri, dove il padre 
        implicato nei
        
        moti carbonari del
        
        '31, esercitava la professione 
        di
        
        medico condotto. Tra questi 
        paesaggi, il cui ricordo si riscontrerà in molte delle sue poesie, il 
        giovane Giosuè trascorse felicemente la propria infanzia fino al
        
        1848, quando il padre dovette 
        trasferirsi perché accusato di attività antigovernativa. A Bolgheri e a 
        Castagneto,Carducci intraprese i primi studi e fece le prime letture, 
        sotto la guida del padre dotato di una buona cultura classica.
        
        Gli studi 
        Nel
        
        1849 la famiglia si stabilì a
        
        Firenze dove Giòsue compì gli 
        studi presso gli
        
        Scolopi acquisendo una buona 
        preparazione in campo letterario e retorico e nel
        
        1853, dopo aver vinto il 
        concorso per un posto gratuito presso la
        
        Scuola Normale Superiore di Pisa, 
        si iscrisse alla Facoltà di lettere dove nel
        
        1855 conseguì la laurea con 
        una tesi sulla
        
        poesia cavalleresca e nello 
        stesso anno pubblicò le sue prime poesie sul mensile "L'Arpa del 
        popolo".
        
        L'insegnamento 
        Nel
        
        1856 dopo essersi trasferito a 
        Santa Maria a Monte, piccolo borgo nella provincia di
        
        Pisa, insegnò
        
        retorica presso il ginnasio di
        
        San Miniato vivendo una 
        intensa esperienza che riporterà poi nel
        
        1863 nelle pagine di carattere
        
        autobiografico: Risorse di San 
        Miniato. Nel corso di questo anno il poeta andò affermando la sua 
        poetica anti-romantica e con il gruppo di amici formato da
        
        Giuseppe Chiarini (1833-1908),
        
        Ottavio Targioni Tozzetti 
        (1833-1899),
        
        Tommaso Gargani (1834-1862) ed 
        Enrico Nencioni (1837-1896) fondò la società letteraria degli Amici 
        pedanti, dal taglio fortemente
        
        classicistico e 
        anti-romantico, intervenendo in modo battagliero nelle discussioni tra
        
        manzoniani e anti-manzoniani 
        ai quali ultimi appartiene.
        Nel luglio dello stesso anno ottiene l'abilitazione all'insegnamento, ma 
        non viene ratificata dal
        
        governo granducale la sua 
        designazione per concorso al ginnasio di
        
        Arezzo.
        
        Le idee politiche 
        Sospettato 
        dalla
        
        polizia per le sue idee
        
        filo-repubblicane, il
        
        9 aprile
        
        1858 venne sospeso 
        dall'insegnamento e per la durata di tre anni visse a Firenze 
        guadagnandosi da vivere con il lavoro presso l'editore 
        Barbera del quale curava l'edizione dei piccoli volumi della "Bibliotechina 
        Diamante" e dando lezioni private. Negli anni del trasformismo il poeta 
        conquistò un posto centrale nella stuttura ideologica e culturale 
        dell'Italia umbertina, giungendo ad abbracciare le idee politiche di
        
        Francesco Crispi.
        
        I lutti 
        Colpito 
        nel giro di due anni da due gravi lutti - nel
        
        1857
        
        morì il fratello Dante, morto 
        suicida nella casa santamariammontese del poeta secondo la versione 
        ufficiale, ma forse ucciso accidentalmente dal padre dopo un litigio 
        secondo una più recente versione, e nel
        
        1858 lo stesso padre si
        
        suicidò per il dolore o forse 
        per il rimorso; entrambi vennero sepolti nel vecchio cimitero del paese 
        dove oggi sono ancora visibili le lapidi - Carducci trascorse un periodo 
        di grande sconforto che espresse attraverso alcune sue liriche 
        ricordando il "colle" ove ebbe luogo la tragedia, ovvero Santa Maria a 
        Monte, ma nel
        
        1859 il
        
        matrimonio con la cugina
        
        Elvira Manicucci, dalla quale 
        ebbe quattro figli (Dante, Bice, Laura e Libertà), lo aiutò a superare 
        il dolore dei lutti. Fu di nuovo colpito da gravi lutti familiari nel
        
        1870 con la morte della madre 
        e del figlio
        
        Dante, a cui dedicò la poesia 
        "pianto 
        antico".
        
			
				
					Pianto antico
					
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								|  | « No, non è vero, che è meglio che 
								sia morto: me lo volevo crescere e educare a 
								modo mio, doveva sentire, pensare, lottare anche 
								lui per il bene e per il vero. No, no: scambiare 
								in sul primo entrar nella vita l’avvenire 
								dell’esistenza per l’oscurità del non essere non 
								è bene… » | 
							
								|  |  | 
						
						Pianto antico è una poesia di
						
						Giosuè Carducci dedicata al figlio
						
						Dante. Scritta nel
						
						1871 è il XLII componimento delle
						
						Rime nuove (1887).
						
						
						
						I lutti familiari
						
						[modifica]
						Il
						
						9 novembre
						
						1870, il piccolo Dante, a soli 3 anni di età, era 
						morto, molto probabilmente di
						
						tifo, nella casa paterna di via Broccaindosso a 
						Bologna. Non era infrequente in quei tempi la mortalità 
						infantile dovuta spesso alle ancora mancate conoscenze 
						della medicina.[1]
						Dante era stato il primo maschio, dopo Beatrice e 
						Laura, nato dopo il matrimonio di Carducci con Elvira 
						Menicucci. L'ultima figlia Libertà nascerà nel
						
						1872.[2]
						Nel febbraio dello stesso anno
						
						1870 il poeta aveva perso anche la madre Ildegonda 
						Celli mancandogli in appena nove mesi quella che gli 
						aveva dato la vita e quello a cui egli l'aveva 
						trasmessa.
						
							
								|  | « ...A febbraio la mia povera 
								mamma; ora il mio bambino; il principio e la 
								fine della vita e degli affetti. » | 
							
								|  |  | 
						
						Del primo grave lutto così scrisse al fratello:
						
							
								|  | « Ella riposa, e non sente più 
								nulla. Pace! Pace! Ma non è finita, non finisce, 
								non finirà mai, la memoria e il desiderio nostro 
								di lei. Io, che tutti i giorni quasi e spesso 
								nei sogni penso e riveggo il nostro fratello 
								morto, io ricorderò sempre lei, la rivedrò 
								sempre; la ricorderò, la rivedrò, anche, spero, 
								all’ultimo punto della mia vita » | 
							
								|  |  | 
						
						Nella lettera sopra citata Carducci accenna ad 
						un'altra tragica morte («...riveggo il nostro fratello 
						morto...»): il
						
						suicidio nel
						
						1857 del fratello appena ventenne Dante,[3] 
						del quale il poeta aveva voluto mantenere il ricordo 
						proprio nel nome del figlio.
						Di questi giovani morti dallo stesso nome e così 
						vicini Carducci celebrò ancora le vite interrotte 
						prematuramente nel sonetto Funere mersit acerbo, 
						scritto poco tempo dopo la morte del figlio.
						
							«È il fanciulletto mio, che a la romita
							tua porta batte: ei che nel grande e santo
							nome te rinnovava, anch’ei la vita
							fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.»
							(da Rime nuove, XI)
						
						
						
							L'albero a cui tendevi
							La pargoletta mano,
							Il verde melograno
							Da' bei vermigli fior
							
							Nel muto orto solingo
							Rinverdì tutto or ora,
							E giugno lo ristora
							Di luce e di calor.
							
							Tu fior de la mia pianta
							Percossa e inaridita,
							Tu de l'inutil vita
							Estremo unico fior,
							
							Sei ne la terra fredda,
							Sei ne la terra negra;
							Né il sol piú ti rallegra
							Né ti risveglia amor.
						
						
						
						
						
						La
						
						metrica della poesia è quella di una breve
						
						ode in
						
						quartine di
						
						settenari, secondo lo schema ABBC (il quarto verso 
						sempre C, e sempre tronco).
						
						
						
						Il simbolo del melograno
						
						[modifica]
						Il pianto del padre è antico come il dolore che gli 
						uomini di tutti i tempi hanno provato di fronte alla 
						morte. Emerge dal passato anche la figura del
						
						melograno, antico simbolo di fertilità, di rinascita 
						e resurrezione.[5]
						
						
						Questo cespuglio, che al termine dell'inverno appare 
						secco e arido, tale da sembrare ormai morto, ecco che 
						invece ricomincia a nascere al calore del sole 
						primaverile e a mettere quei bei piccoli fiori, di un 
						rosso intenso come quello del sangue vitale, che la 
						giovane vita del piccolo Dante invano ha cercato di 
						afferrare. Il melograno resusciterà a nuova vita non 
						così il bambino ormai per sempre nella terra fredda e 
						nera.
						Il gioco dei termini usati nella poesia esprimono il 
						netto contrasto tra la vita ("luce", "calor") e la morte 
						("pianta... inaridita", "terra fredda", "terra negra") 
						tanto più dolorosa quando coglie una "pargoletta mano" 
						non più capace di trattenere nelle sue mani la vita.
						Dante era stato l'ultimo, unico frutto, di una 
						pianta, di quella ormai inutile vita che Carducci sente 
						non più scorrere in lui: ormai non piange neppure più, è 
						completamente inaridito perché la sua vita è stata 
						spezzata dalle radici.
						Quel piccolo orto, prima luminoso e sonoro dei rossi 
						colori del melograno e dei giochi del bimbo ora appare 
						al poeta troppo silenzioso e solitario ed ormai né il 
						sole, né l'amore potranno farvi ritornare la vita.
						Lo stesso ritmo infine della poesia sembra suggerire 
						quelle
						
						nenie che si recitano ai bambini per farli 
						addormentare ma qui non c'è gioco fantastico, vi è 
						tristezza, rassegnazione profonda: questa è una nenia 
						per un sonno di morte.
						
						
						
							
								- ^ 
								Così Carducci descrive la morte improvvisa del 
								figlio:
 «Il mio povero bambino mi è morto; morto di un 
								versamento al cervello. Gli presero alcune 
								febbri violente, con assopimento; si sveglia a 
								un tratto la sera del passato giovedì (sono otto 
								giorni), comincia a gittare orribili grida, 
								spasmodiche, a tre a tre, come a colpi di 
								martello, per mezz’ora: poi di nuovo, 
								assopimento, rotto soltanto dalle smanie della 
								febbre, da qualche lamento, poi da convulsioni e 
								paralisi, poi dalla morte, ieri, mercoledì, a 
								ore due» (lettera di G. Carducci al fratello 
								Valfredo,
								
								10 novembre
								
								1870).
- ^ 
								Un quinto figlio, Francesco, morì dopo pochi 
								giorni dalla nascita. 
								
- ^ 
								Suicidatosi secondo la versione ufficiale, ma 
								forse ucciso accidentalmente dal padre dopo un 
								litigio secondo una più recente versione (in
								
								Musei di Santa Maria a Monte. Nel
								
								1858 lo stesso padre si
								
								suicidò per il dolore o, forse, per il
								
								rimorso; entrambi vennero sepolti nel 
								vecchio cimitero del paese, dove oggi sono 
								ancora visibili le lapidi. 
								
- ^ 
								La fonte principale per l'analisi critica 
								estetica della poesia è :Storia generale 
								della Letteratura Italiana, Federico Motta 
								Editore, Milano 2004, Vol.X pagg.568 e sgg. del 
								saggio di Raffaele Sirri ivi contenuto. 
								
- ^ 
								Nell'antichità la melagrana era anche simbolo di 
								fertilità, di nuova vita ma anche, specie 
								nell'arte rinascimentale italiana, in Donatello, 
								Michelozzo, Verrocchio, Rossellino ed altri, il 
								simbolo della melagrana, motivo ornamentale 
								diffuso anche nella scultura, soprattutto 
								sepolcrale e nell’architettura classica, era 
								anche simbolo di morte. 
 
					 
				 
			 
		 
        
        Il ritorno all'insegnamento
        
        Riammesso 
        all'insegnamento, gli venne affidato un incarico presso il liceo 
        classico Niccolò Forteguerri di
        
        Pistoia dove insegnò per tutto 
        il 1859
        
        latino e
        
        greco.
        Con 
        decreto del
        
        26 settembre
        
        1860 venne incaricato, 
        dall'allora ministro della Pubblica Istruzione
        
        Terenzio Mamiani Della Rovere, 
        a tenere la cattedra di eloquenza italiana, in seguito chiamata
        
        Letteratura italiana presso l'Università 
        di Bologna dove rimarrà in carica fino al
        
        1904. Pubblicò nel frattempo 
        Juvenilia, che raccoglie tutte le poesie del decennio precedente.
        Nel
        
        1863 pubblicò con lo 
        pseudonimo di Enotrio Romano l' Inno a Satana che, pur ottenendo 
        successo, fomentò vivaci polemiche. Sempre di quell'anno è la 
        pubblicazione Delle poesie toscane di A. Poliziano.
        
        La poesia laica 
        La sua 
        poesia intanto, sotto l'influsso delle
        
        letterature straniere ed in 
        particolare di quella
        
        francese e
        
        tedesca, divenne sempre più 
        improntata di
        
        laicismo mentre le sue idee 
        politiche andavano orientandosi in senso
        
        repubblicano. Oltre all'
        
        Inno a Satana pubblicò nel
        
        1868 la raccolta maggiormente 
        impegnata dal punto di vista politico: Levia Gravia.
        
        Il legame alla massoneria 
        
        Nel
        
        1866 vide la stampa il
        
        saggio Dante e l'età sua e 
        Carducci divenne segretario della "Felsinea", una
        
        loggia massonica. Il legame 
        alla massoneria e all'unione democratica gli costò come punizione la 
        richiesta da parte del ministro
        
        Broglio del trasferimento alla 
        cattedra di
        
        Letteratura latina di
        
        Napoli, trasferimento che 
        Carducci rifiutò.
        Ottenuta nel 1868 la revoca del trasferimento, venne sospeso 
        dall'insegnamento per due mesi e gli venne tolto lo
        
        stipendio.
        Nel
        
        1870 morirono la madre e il 
        figlio Dante di soli tre anni lasciandolo in un cupo dolore che cercò di 
        alleviare con l'intenso lavoro letterario.
        
        Poeta nazionale 
        Nel
        
        1871 il poeta conobbe
        
        Carolina Cristofori (moglie 
        dell'ex-garibaldino
        
        Domenico Piva e madre di
        
        Gino Piva), una donna ricca di 
        ambizioni culturali, con la quale iniziò un fitto scambio epistolare 
        sfociato nel
        
        1872 in una relazione amorosa. 
        Alla donna, chiamata Lina o Lidia nelle lettere e in alcune poesie, 
        dedicherà molti dei suoi versi e fu proprio in questo periodo che la 
        fama del poeta, come guida nazionale della cultura italiana, si 
        consolidò. Di questi anni è l'ampia produzione poetica che verrà 
        raccolta in Rime Nuove (1861-1887) 
        e in Odi barbare (1877-1889).
        
        Proseguì l'insegnamento universitario 
        e alla sua scuola si formano personalità come
        
        Giovanni Pascoli,
        
        Severino Ferrari,
        
        Renato Serra,
        
        Alfredo Panzini,
        
        Manara Valgimigli ed
        
        Emma Tettoni[citazione necessaria].
        Nel
        
        1873 si recò per la prima 
        volta a
        
        Roma e pubblicò A proposito di 
        alcuni giudizi su A. Manzoni e Del rinnovamento letterario d'Italia.
        Nel
        
        1878, in occasione di una 
        visita della famiglia reale a
        
        Bologna, scrisse l'Ode Alla 
        Regina d'Italia in onore della regina Margherita, ammiratrice dei suoi 
        versi e venne accusato di essersi convertito alla
        
        monarchia suscitando forti 
        polemiche da parte dei repubblicani.
        Negli anni 
        che seguirono collaborò con il
        
        giornale "Fanfulla della 
        Domenica" di impronta filo-governativa (1878), pubblicò le Nuove Odi 
        Barbare e i Giambi ed epodi, collaborò alla Cronaca bizantina e lesse il 
        famoso discorso Per la morte di Garibaldi (1882).
        Sulla Cronaca bizantina uscirono nel
        
        1883 i
        
        sonetti del Ça ira e nel
        
        1887 pubblicò Rime nuove. Il 
        corso che tenne all'Università nel
        
        1888 sul
        
        poema
        
        Il giorno di
        
        Parini produsse l'importante 
        saggio Storia del "Giorno" di G. Parini. Nel
        
        1889, dopo la pubblicazione 
        della terza edizione delle Odi Barbare, il poeta iniziò ad assemblare 
        l'edizione delle sue Opere in venti volumi, lavoro che si concluse nel
        
        1899.
        
        La nomina a senatore 
        
        Nel
        
        1890 venne nominato
        
        senatore e negli anni del suo 
        mandato sostenne la
        
        politica di
        
        Crispi , che attuava un 
        governo di stampo conservatore, anche dopo la
        
        sconfitta di Adua.
        Conobbe in quello stesso anno la scrittrice
        
        Annie Vivanti con la quale 
        instaurò un'intensa
        
        amicizia sentimentale.
        
        Gli ultimi anni di vita 
        
        Nel
        
        1899 pubblicò la sua ultima 
        raccolta di versi, Rime e Ritmi, e nel 1904 fu costretto a lasciare 
        l'insegnamento per motivi di salute. Nel
        
        1906 l' Accademia di
        
        Svezia gli conferì il
        
        Premio Nobel per la 
        letteratura, il primo ad un
        
        italiano.
        La
        
        morte lo colse a Bologna il 16 
        febbraio del 1907. È sepolto alla
        
        Certosa di Bologna.